Protesta 15 gennaio: la “disobbedienza civile” espone a diversi rischi. APPE punta su ristori adeguati e moratoria fiscale
In breve
La manifestazione è “attenzionata” dal Ministero dell’Interno che ha allertato tutte le forze dell’ordine. Per tutti gli esercenti vale la regola del “libero arbitrio”. I centralini dell’Associazione Provinciale Pubblici Esercizi (APPE) di Padova squillano di continuo e all’altro capo del...
...La manifestazione è “attenzionata” dal Ministero dell’Interno che ha allertato tutte le forze dell’ordine. Per tutti gli esercenti vale la regola del “libero arbitrio”.
I centralini dell’Associazione Provinciale Pubblici Esercizi (APPE) di Padova squillano di continuo e all’altro capo del telefono ci sono molti baristi e ristoratori interessati a sapere come devono comportarsi con il fenomeno emergente e strisciante, che sta dilagando a macchia di leopardo un pò in tutta la Penisola, relativo alla protesta collegata al movimento #ioapro1501.
«Prima di entrare nel cuore della risposta – esordisce Filippo Segato, Segretario APPE – facciamo una lunga premessa per raccontare che l’operato dell’Associazione corre esclusivamente nell’alveo della legalità e si sviluppa nel richiedere al Governo centrale, ma anche agli apparati territoriali periferici, così come successo lunedì 11 gennaio con la manifestazione davanti alla Prefettura di Padova, l’immediatezza e l’adeguatezza dei cosiddetti “ristori”».
«Chiediamo subito – sottolinea Segato – nuovi ristori per 5 miliardi di euro, raddoppiati rispetto a quelli erogati nel 2020, una moratoria fiscale, un insieme di misure per gli affitti, ed il prolungamento della cassa integrazione. Non solo, al Governo chiediamo di controllare meglio il territorio e gli assembramenti cui abbiamo assistito, invece di massacrare un settore che è già di suo massacrato».
Fatta questa premessa, l’APPE non intende né appoggiare, né avallare alcuna iniziativa che consista in violazioni di legge, pur comprendendo benissimo l’esasperazione cui il Governo ha condotto gli operatori con scelte francamente incomprensibili e non suffragate da dati scientifici.
«Ovviamente ogni esercente è libero di scegliere se e come manifestare il proprio dissenso – dichiara Segato – certo è che la rivolta spontanea di “disobbedienza civile” espone ad una sanzione pecuniaria di 400 euro e all’ulteriore sanzione della chiusura dell’esercizio per 5 giorni. In caso di reiterata violazione, la sanzione amministrativa è raddoppiata e quella accessoria della chiusura applicata nella misura massima dei 30 giorni. Potrebbero inoltre essere sanzionati anche eventuali clienti presenti all’interno del locale. Ma i legali da noi interpellati – continua il Segretario APPE – pongono l’attenzione anche su una norma penale speciale relativa ai delitti non colposi contro la salute pubblica anche in riferimento alle epidemie ovvero l’articolo 260 del Regio Decreto n. 1265/1934 (Testo unico delle leggi sanitarie) “Chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo è punito con l’arresto da 3 mesi a 18 mesi e con l’ammenda da euro 500 ad euro 5.000”».
Sulle nascenti proteste si è espresso pubblicamente anche il Governatore del Veneto Luca Zaia che nel consueto punto stampa da Marghera ha rivolto un pensiero alle attività produttive: «non sono scandalizzato dalle proteste che fanno, mi metto nei panni dei tanti operatori, tutte queste proteste nascono da un fatto: se i ristori ci fossero e fossero reali e ci fossero in tempo reale nessuno penserebbe di riaprire. E’ fondamentale dare i soldi a questi operatori per tenere in vita le loro aziende, pagare i loro lavoratori e pensare di ripartire. Molte di queste aziende non riapriranno più. Chiedo che qualsiasi forma di protesta sia assolutamente rispettosa delle regole della sanità perché protestare è un diritto di tutti, è inviolabile, è il sale della democrazia, ma bisogna fare in modo che la protesta non si trasformi in contagio. Le categorie colpite dalle chiusure fanno un sacrificio a nome della collettività, però non possiamo pensare che chi fa un sacrificio in nome e per conto della comunità debba anche morire in nome e per conto della comunità. Tutti abbiamo l’obbligo di aiutare questi operatori».